Lara Polsoni – La lettura Braille

LA LETTURA BRAILLE.
ASPETTI COGNITIVI E NEUROPSICOLOGICI.
IMPLICAZIONI PER LA DIDATTICA E LA VALUTAZIONE

(PUBBLICATO SU “TIFLOLOGIA PER L’INTEGRAZIONE”, OTTOBRE-DICEMBRE 2009)
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Abstract: Le evidenze della ricerca neuropsicologica non risultano solo funzionali alla valutazione delle abilità di lettura, ma offrono anche validi suggerimenti per il loro insegnamento.

La lettura è apparsa in un’epoca relativamente recente nell’evoluzione della specie umana. L’associazione tra lesioni in specifiche aree cerebrali e disturbi specifici di lettura sosterrebbe l’ipotesi dell’esistenza, nel nostro cervello, di centri specializzati per questa funzione. È affascinante pensare che un’abilità acquisita da così poco tempo abbia già uno specifico “locus” nell’anatomia  funzionale del cervello. In realtà sappiamo che, oltre ad alcuni centri corticali maggiormente coinvolti, ve ne sono diversi altri che si attivano in misura variabile a seconda del tipo di compito e che si attivano anche durante altri processi oltre alla lettura. Oggi il modello più diffuso per spiegare i processi di lettura è il cosiddetto modello a due vie o a doppio accesso. Questo modello prevede che lo stimolo visivo, costituito dalla parola scritta, può determinare l’attivazione di due vie corticali, le quali alla fine porteranno il soggetto a produrre una rappresentazione fonologica della parola.

Distinguiamo una via lessicale (o diretta o visiva od ortografica) e una via fonologica (o indiretta o sublessicale). La via lessicale risulterebbe particolarmente utile nella lettura di parole irregolari, immagazzinate in memoria e riconosciute nella loro “forma globale” anziché attraverso l’analisi dei singoli grafemi. La via fonologica, al contrario, sarebbe importante nella lettura di parole non conosciute o di non parole, per le quali è necessario eseguire la conversione grafema-fonema. Le due vie risiederebbero in due diverse aree della corteccia associativa visiva. La via fonologica corrisponderebbe al canale dorsale, detto anche via del “dove?”, perché deputato ad elaborare la collocazione degli oggetti nello spazio, situato nel giro angolare e nel giro sopramarginale dell’emisfero sinistro. La via lessicale, invece, si troverebbe nel canale ventrale, in prossimità del giro fusiforme posteriore, detto via del “che cosa?” perché implicata nel riconoscimento visivo degli oggetti; opererebbe, quindi, un riconoscimento automatico della forma della parola. È il processo privilegiato dai lettori esperti che abbiano già immagazzinato in memoria, attraverso l’esercizio, una sorta di lessico mentale corrispondente alle parole scritte già incontrate in precedenza. Viceversa, la via fonologica è il canale di accesso più utilizzato durante le prime fasi di acquisizione della lettura o con le parole nuove. Lesioni associate o selettive di queste due vie portano a sviluppare differenti tipi di dislessia acquisita (fonologica, superficiale, mista o profonda).

Abbiamo dato uno sguardo al funzionamento del cervello delle persone vedenti durante la lettura; in esse lo stimolo elaborato è di natura visiva. Ma cosa accade quando dobbiamo “tradurre” in rappresentazione fonologica uno stimolo tattile, afferente cioè alla corteccia somato-sensoriale e non più alla corteccia visiva?

È possibile rintracciare anche nel cervello delle persone prive della vista una differenziazione funzionale analoga a quella osservata nella corteccia delle persone vedenti? E, se sì, tale differenziazione dovrebbe aver luogo nelle regioni attigue alla corteccia visiva o in altre aree? Come si riorganizza la corteccia visiva – che, ricordiamo, è situata nel lobo occipitale – quando non è utilizzata per l’elaborazione dell’input visivo?

A queste e ad altre domande ha cercato di rispondere un interessante filone di ricerche, le cui scoperte più significative per la didattica del Braille verranno discusse più avanti. La comprensione dei processi di acquisizione della lettura, che passa anche attraverso la conoscenza della neuroanatomia funzionale, oltre che delle varie fasi di acquisizione e dei livelli che dovrebbero essere raggiunti alle varie età, può aiutare gli insegnanti a migliorare la qualità della lettura dei propri studenti. Anche se diversi aspetti relativi ai processi cognitivi implicati nella lettura Braille necessitano di ulteriori chiarimenti, essere al corrente delle attuali conoscenze in merito potrà portare senz’altro gli insegnanti a migliorare le proprie strategie.

L’apprendimento del sistema Braille ha infatti delle analogie con quello dei caratteri in nero, ma anche numerose ed importanti differenze, relative soprattutto ai processi di organizzazione percettiva e di elaborazione delle informazioni.

Livelli di acquisizione delle abilità di lettura Braille
È possibile descrivere i livelli di acquisizione delle abilità di lettura in almeno due modi: un primo modo consiste nell’elencare i compiti che si è in grado di eseguire ai vari livelli; un secondo modo nello studiare le varie fasi di acquisizione delle abilità all’interno del processo globale di sviluppo cognitivo dell’individuo. I “Braille Reading Standards” pubblicati nel 2006 dal California State Board of Education sono un esempio del primo modo, vale a dire di un approccio descrittivo basato su un elenco di competenze. La funzione degli Standard è quella di determinare dei livelli di prestazione il cui raggiungimento dovrebbe essere garantito dal sistema di istruzione pubblico; essi hanno perciò natura prescrittiva. Si può affermare che sono sostanzialmente allineati con gli standard di lettura per vedenti di lingua inglese, anche se tengono conto delle importanti differenze esistenti nelle abilità e modalità esplorative del non vedente.

Ad oggi non risulta esservi un analogo testo di riferimento per l’apprendimento della lettura Braille in lingua italiana; per questa ragione suggerisco di considerare gli Standard americani come uno dei tanti possibili modelli di sistematizzazione delle competenze, con atteggiamento cauto rispetto alle indicazioni normative circa le singole abilità che gli studenti dovrebbero possedere ai vari gradi di scolarizzazione. Nel testo introduttivo che precede gli Standard viene chiaramente espressa la necessità di condurre, con frequenza giornaliera, attività specifiche di insegnamento per studenti non vedenti nei primissimi anni di scuola. Significativo è il numero dei traguardi previsti nella lettura per gli alunni non vedenti nella scuola dell’infanzia, che è due volte maggiore rispetto ai traguardi previsti per gli alunni vedenti. A questa età si parla innanzitutto di prerequisiti per la lettura, in gran parte comuni a quelli per i vedenti: uno sviluppo cognitivo nella norma; un vocabolario di alcune centinaia di parole; la comprensione che simboli astratti veicolano significati rapportabili all’esperienza; la capacità di mantenere l’attenzione focalizzata su un compito per più di 10 minuti. Si richiede inoltre che i bambini comprendano che il Braille è una modalità di lettura attraverso le dita; che sviluppino curiosità verso il sistema di scrittura Braille e i libri in Braille; che siano in grado di seguire una direzione per uno o più passi; che sappiano individuare la destra e la sinistra sul proprio corpo e su una pagina; che sappiano individuare stimoli “uguali” o “diversi” in molteplici contesti.

Per quanto riguarda le abilità di discriminazione tattile, essi dovrebbero essere ben disposti verso l’esplorazione di vari materiali, inclusa una riga di Braille in una pagina; essere in grado di dividere i materiali in varie categorie a seconda delle caratteristiche tattili; discriminare gli oggetti in base a forma, dimensione, texture; identificare le forme indipendentemente dalla posizione e dall’orientamento. Importanti sono le abilità manuali: premere, spingere, attorcigliare, ruotare, infilare, schiacciare, ritagliare, incollare, etc. Si richiede inoltre che il bambino sappia utilizzare le mani indipendentemente e in maniera coordinata per eseguire un compito. Infine, dovrebbero possedere tono muscolare e destrezza delle dita sufficienti per utilizzare la dattilobraille e la tavoletta. Oltre ai prerequisiti, è prevista fin dall’inizio della carriera scolastica l’acquisizione di specifiche competenze di lettura.

Alla fine della scuola dell’infanzia (kindergarten), e cioè a 6 anni, i bambini dovrebbero essere in grado di identificare le varie parti di un libro in Braille e di sfogliarlo correttamente; di muovere le dita lungo le righe; di comprendere che le pagine scritte in Braille veicolano informazioni; di comprendere la differenza tra scrittura in Braille e in nero. Dovrebbero inoltre essere consapevoli del fatto che le frasi sono composte da parole e che le parole sono composte da lettere; distinguere le singole lettere all’interno delle parole; comprendere che alcune lettere in Braille possono rappresentare a volte intere parole (forma contratta). Dovrebbero inoltre conoscere la funzione del segno maiuscolo e quella del segnanumero, che trasforma le lettere fino alla J in cifre, e dovrebbero saper leggere i numeri da 0 a 9. Altri traguardi di sviluppo riguardano la consapevolezza fonologica, lo sviluppo del vocabolario, l’acquisizione di concetti astratti, la comprensione del testo, la conoscenza delle varie parti del testo e delle loro funzioni. Sono presenti inoltre dettagliate indicazioni sul corretto ed efficiente uso delle mani nella lettura, come ad esempio localizzare inizio e fine rigo, riconoscere la funzione degli spazi tra le parole, muovere le dita lungo le righe dall’inizio alla fine della pagina e riprendere il movimento di lettura senza “perdere il segno” dopo una pausa.

Per quanto riguarda la scuola elementare (elementary school), la scuola media (middle school) e la scuola superiore (high school), i vari traguardi di acquisizione delle competenze di lettura e scrittura sono sostanzialmente allineati con i traguardi di sviluppo previsti per gli alunni vedenti. A partire dalla scuola elementare, gradualmente scompaiono le specifiche indicazioni riguardanti la modalità sensoriale attraverso cui si legge: i livelli di acquisizione delle competenze si allineano sostanzialmente con quanto previsto dai curricoli governativi per tutti gli alunni, vedenti e non (English-Language Arts Content Standards for California Public Schools, adottati dallo State Board of Education nel 1997). Alla fine della quarta classe (l’ultimo anno della scuola elementare nel sistema scolastico anglosassone), quindi all’età di 10 anni, ci si attende che gli alunni non vedenti siano in grado di leggere e comprendere testi di varia natura, di difficoltà pari a quella prevista per gli alunni vedenti, in maniera fluente e con intonazione ed espressività appropriate. Alla fine della middle school (grade eight), all’età di 14 anni, gli alunni non vedenti dovrebbero essere in grado di leggere e comprendere senza difficoltà testi di varia natura appropriati per l’età; tra questi, oltre ai testi selezionati dai programmi governativi, gli alunni dovrebbero leggere testi di propria scelta per un totale di circa un milione di parole ogni anno, inclusi periodici, manuali, testi letterari, ecc.
Alla fine della high school (grade twelve), all’età di 18 anni, la lettura e la comprensione dei testi devono essere adeguate ai livelli raggiunti dai coetanei vedenti; gli alunni devono essere in grado di riassumere ed analizzare criticamente i testi, avvalendosi anche di supporti elettronici per prendere appunti contestualmente alla lettura. Occorre quindi che essi abbiano imparato, attraverso specifiche attività di insegnamento, ad utilizzare autonomamente tali supporti.

Oltre a specificare degli standard di prestazione, possiamo illustrare le fasi di acquisizione delle abilità di lettura nel secondo modo, inserendo cioè tale funzione specifica all’interno del quadro globale dello sviluppo cognitivo dell’individuo. Un approccio del genere è stato seguito da Steinman, Lejeune e Kimbrough (2006), i quali hanno proposto una comparazione tra i sei stadi di acquisizione della lettura secondo il modello di Chall (1983) nei vedenti e nei non vedenti lettori Braille. Si noti che il modello non prevede una rigida ripartizione temporale per le varie fasi di acquisizione e che, a seconda del livello di familiarità con i contenuti, è possibile una regressione a stadi di lettura precedenti.
Lo stadio 0 (lettura lettera per lettera, o bottom-up) comprende anche una fase di prelettura in cui i bambini vedenti sono esposti a stimoli (marchi, simboli, scritte di vario tipo), mentre i bambini non vedenti devono essere stimolati deliberatamente per sviluppare gli altri canali sensoriali e per familiarizzare con concetti d’uso comune.

Allo stadio 1 il lettore accede all’istruzione formale e impara le regole di pronuncia e fusione fonemica. È uno stadio importante perché predittivo delle future abilità di lettura.
Allo stadio 2 il testo non è ancora considerato un mezzo di acquisizione del sapere; l’attività di lettura si concentra sulla pratica stessa; i contenuti devono essere molto familiari ai bambini. I lettori Braille iniziano a leggere anche le forme contratte. La lettura procede con rapide ricognizioni di più vocaboli simultaneamente. Nei lettori Braille, però, ciò è molto difficile: l’elaborazione seriale degli stimoli è più persistente. I tipici comportamenti che indicano l’assenza di automatismo sono lo “scrubbing” (insistere sulla stessa lettera con il dito, per identificarla) e il “backtracking” (tornare su porzioni di testo già lette, che indica una scarsa capacità di integrare le informazioni).
Con l’ingresso nello stadio 3 ci si focalizza di più sul messaggio; si integra ciò che si legge con le conoscenze pregresse. Il testo deve essere familiare, non deve richiedere troppe inferenze e non deve esprimere più punti di vista differenti. Le rappresentazioni mentali sono ancora piuttosto rigide.
Allo stadio 4 il lettore è in grado di integrare le informazioni relative a più prospettive e a costruirsi nuove rappresentazioni mentali.
Lo stadio 5 si distingue dallo stadio 4 perché, già in fase di prima lettura, il soggetto è in grado di individuare le informazioni rilevanti. È dominio-specifico: se il testo tratta un argomento poco familiare, si regredisce allo stadio 4. Inoltre è simile allo stadio 0 per il suo distacco dal testo.

Pur non essendoci attualmente un modello che descriva in maniera specifica lo sviluppo delle abilità di lettura in Braille, il modello a sei stadi sopra descritto, se supportato da adeguati studi empirici, potrebbe risultare molto utile agli insegnanti per personalizzare i metodi e le tecniche di insegnamento.

Aspetti neuropsicologici
Buona parte degli studi neuropsicologici sulle modificazioni che, in relazione all’apprendimento del sistema Braille, avvengono nella corteccia cerebrale fa riferimento a soggetti ciechi assoluti, confrontati con soggetti vedenti. L’abilità di discriminazione tattile è nettamente superiore nei soggetti non vedenti rispetto ai vedenti. Ciò suggerisce l’esistenza di una plasticità del cervello, che permette appunto l’incremento delle abilità di discriminazione tattile occupando aree normalmente deputate ad altri compiti. Nei soggetti non vedenti, nei quali la via di elaborazione dei dati visivi è interrotta, l’elaborazione di forme attraverso il canale tattile si estende alla corteccia visiva. Questo spiegherebbe l’incremento dell’acuità tattile, in quanto la corteccia associativa visiva viene “reclutata” per integrare l’elaborazione della corteccia somatosensoriale. Lo stesso avviene per V1 (la corteccia visiva primaria, nella quale si “proiettano”, nel vedente, le informazioni provenienti dal nucleo genicolato laterale del talamo), ma solo per gli individui con cecità ad insorgenza precoce. V1 in questo caso svolgerebbe una funzione di elaborazione ad un livello più alto, successivo ad una prima elaborazione degli stimoli tattili. Si tratterebbe quindi di un livello “aggiuntivo” di elaborazione tattile, che i vedenti non posseggono. (Goldreich e Kanics, 2003).

Studi effettuati con compiti di lettura Braille, produzione verbale e memoria verbale mediante risonanza magnetica funzionale (Amedi et al., 2003) hanno mostrato nei soggetti ciechi un’attivazione estesa di V1, che non si ha invece nei soggetti vedenti per lo stesso tipo di compito. Questa attivazione spiegherebbe anche le migliori prestazioni di memoria verbale nei soggetti ciechi rispetto ai vedenti, un incremento di abilità che è positivamente correlato all’ampiezza dell’area di attivazione di V1. Uhl et al. (1991) hanno evidenziato come siano proprio i compiti di lettura Braille, e non altri compiti di discriminazione tattile, a determinare una maggiore attivazione di V1. Sadato e Hallett (1999) hanno osservato che, durante la lettura Braille, parallelamente all’attivazione di V1 si ha una diminuzione nell’attivazione dell’area somatosensoriale, tipicamente impiegata nell’elaborazione degli stimoli tattili. La lettura Braille sarebbe allora qualcosa in più di un semplice compito di percezione tattile e richiederebbe pertanto l’intervento di altre aree funzionali.
È stata osservata anche una specializzazione delle diverse aree della corteccia visiva nei soggetti non vedenti: le regioni anteriori sarebbero maggiormente coinvolte nella lettura Braille, mentre le regioni posteriori lo sarebbero nei compiti di memoria e produzione verbale.

Il priming è un fenomeno ben noto in psicologia, utilizzato in paradigmi sperimentali per studiare i processi di attenzione automatica e di memoria implicita. Si parla di priming quando l’identificazione di uno stimolo (visivo o verbale) risulta facilitata (minor tempo di reazione, meno errori…) dalla presentazione precedente di un altro stimolo, spesso elaborato in modo inconsapevole, che sia correlato con lo stimolo bersaglio. Per studiare il ruolo della corteccia visiva nella lettura Braille è stata applicata la rTMS (stimolazione magnetica transcranica: una tecnica che permette di simulare temporaneamente e senza alcun danno delle lesioni in aree cerebrali circoscritte) nella corteccia occipitale e nella corteccia somatosensoriale primaria in soggetti non vedenti (Kupers et al., 2007). La rTMS ha determinato un numero maggiore di errori nel gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo, ma solo quando è stata applicata alla corteccia occipitale. In particolare è stato eliminato l’effetto di priming che avrebbe dovuto determinare un incremento di velocità nella lettura ripetuta della stessa lista di parole. Si pensa, pertanto, che la corteccia visiva rivesta, negli individui ciechi, un ruolo significativo anche per la memoria verbale implicita.
Anche la corteccia somatosensoriale e la corteccia motoria, situate rispettivamente nel lobo parietale e frontale, sono state largamente studiate durante i compiti di lettura Braille, per comprendere come esse si adattino alla necessità di discriminare gli stimoli tattili attraverso i polpastrelli delle dita utilizzate per la lettura. Sui polpastrelli sono presenti quattro tipi di recettori cutanei che rispondono alle stimolazioni meccaniche (detti meccanocettori): i dischi di Merkel, i corpuscoli di Ruffini, i corpuscoli di Meissner, i corpuscoli di Pacini. Essi si distinguono per l’ampiezza del campo recettivo e per la velocità di adattamento agli stimoli. Alcuni di essi sono pertanto più sensibili alla vibrazione, mentre altri lo sono alla pressione costante; alcuni consentono una fine localizzazione degli stimoli, altri invece hanno una regione di attivazione più ampia e diffusa. Il fenomeno dell’adattamento consiste nel fatto che uno stimolo tattile moderato e costante, dopo brevissimo tempo non produce più alcuna sensazione sulla pelle. Per riuscire a discriminare le caratteristiche tattili di un oggetto che si tiene tra le mani occorre muovere le dita; il sistema somatosensoriale, in definitiva, è in costante interazione dinamica con il sistema motorio.

La lettura Braille richiede un’esplorazione attiva dello stimolo tattile
attraverso il movimento delle dita (Millar 1997) e gli studi neuropsicologici hanno tentato di individuare le aree specifiche che si attivano nel corso di questo tipo di movimento, localizzando le rappresentazioni neurali delle dita solitamente impiegate nella lettura. Pascual-Leone e Torres (1993) hanno osservato nei lettori Braille una più ampia rappresentazione, all’interno della corteccia senso-motoria, delle dita implicate nella lettura, rappresentazione che corrisponde ad un’attivazione nell’emisfero controlaterale alla mano utilizzata. Il cervello è dunque in grado di adattarsi alle nuove importanti funzioni di alcune parti del corpo, in questo caso alcune dita. Se, però, l’area cerebrale utilizzata per le dita che leggono è più estesa, qual è il destino delle altre dita? Sterr et al. (1998) hanno messo a confronto le soglie di attivazione tattile in lettori Braille e in vedenti che non leggevano il Braille. Tali soglie di attivazione sono risultate più basse nei lettori Braille. Inoltre Sterr, Green ed Elbert (2003) hanno verificato che la capacità di localizzare con esattezza la provenienza dello stimolo (cioè di indicare quale dito avesse subito la stimolazione) era meno accurata nei lettori Braille per la mano utilizzata nella lettura. L’aumentata capacità di discriminazione della forma dello stimolo sarebbe stata raggiunta, dunque, a scapito della localizzazione. Pascual-Leone, Wasserman, Sadato et al. (1995) hanno inoltre osservato come la riorganizzazione della corteccia sensoriale e motoria non abbia carattere stabile. Bastano pochi giorni di mancato esercizio della lettura Braille per determinare una significativa riduzione dell’attivazione di questa area.

Riguardo la lateralizzazione, alcuni studi hanno messo a confronto i diversi pattern di attivazione degli emisferi cerebrali in relazione alla mano preferita nella lettura Braille, per capire se la preferenza della mano destra o sinistra potesse influire sulla qualità delle prestazioni. I risultati non sono concordi; alcuni di essi sostengono una superiorità nelle prestazioni di lettura con la mano sinistra, altri
invece non rilevano alcuna differenza significativa.

Un altro problema ampiamente discusso riguarda le differenze tra cecità congenita e acquisita, relativamente alla riorganizzazione cerebrale e alla facilità con cui avviene l’apprendimento del Braille. Secondo Burton (2003) tutti i lettori Braille, siano essi nati o diventati ciechi, utilizzano nei compiti di lettura la corteccia occipitale. Millar (1997) ha osservato come i ciechi acquisiti, esposti prima dell’insorgenza del deficit visivo ad una quantità di stimoli visivi e parole scritte in nero, abbiano imparato ad elaborare velocemente tali stimoli anche attraverso un’aumentata capacità della memoria di lavoro visiva. Ciò comporta una maggiore estensione delle aree cerebrali deputate all’elaborazione degli stimoli visivi rispetto a quella per gli stimoli tattili, una ridotta memoria di lavoro per gli stimoli tattili e quindi un rapido decadimento dell’informazione tattile. Si potrebbero così spiegare le difficoltà incontrate da questi soggetti nell’apprendimento e nella ritenzione dei caratteri Braille. Le difficoltà dovrebbero però tendere a scomparire rapidamente con l’esercizio fin dalle prime fasi di apprendimento, in virtù della riorganizzazione della corteccia occipitale di cui abbiamo già parlato.

È opportuno precisare che non a tutte le età il cervello è ugualmente plastico. Sadato et al. (2002) hanno sottolineato come la corteccia visiva primaria sia maggiormente coinvolta nei compiti di discriminazione tattile nei ciechi congeniti rispetto ai ciechi acquisiti. Esisterebbe un “periodo critico” per la riorganizzazione funzionale della corteccia visiva primaria nei primi 16 anni di vita; oltre tale limite non sarebbe più possibile il passaggio di V1 dall’elaborazione visiva all’elaborazione tattile.
Pochi sono gli studi neuropsicologici sulle modificazioni della corteccia cerebrale in soggetti ipovedenti. Non venendo a mancare del tutto l’input visivo, le aree cerebrali deputate alla visione non subiscono modifiche di entità paragonabile a quelle che avvengono nel cervello dei ciechi assoluti. È però lecito ritenere che alcune modificazioni debbano esservi, soprattutto nei soggetti con ipovisione grave che leggono in Braille, anche per ottenere un’adeguata discriminazione tattile. A conclusione di uno studio sulla correlazione tra età d’insorgenza e gravità del deficit visivo, Sadato et al. (2004) sostengono la necessità di ulteriori ricerche per
indagare sulla plasticità corticale ai vari gradi di ipovisione.

Il problema della valutazione delle abilità di lettura
Le prove standardizzate per la valutazione delle abilità di lettura sono impiegate con una certa frequenza nello screening e nella diagnosi per i disturbi di apprendimento e per la valutazione globale delle abilità intellettive nei soggetti in età scolare e negli adulti. Verificare che il soggetto possieda un livello di lettura adeguato per l’età attraverso strumenti standardizzati permette di ottenere un quadro accurato, attendibile e indipendente dalle caratteristiche soggettive di chi valuta. Ciò nonostante, l’impiego di queste prove in soggetti che leggono in Braille risulta difficoltoso se non impossibile nel nostro Paese. Non risultano essere disponibili, attualmente, versioni Braille di prove in italiano; nei Paesi di lingua inglese, invece, esistono versioni Braille e a caratteri ingranditi dei più diffusi test di lettura, oltre ad alcune prove nate appositamente per misurare le abilità di lettura in Braille. È ovvio che non basta operare una semplice trascrizione del materiale da leggere. Il Braille permette, è vero, una trascrizione fedele del testo in nero, ma si avvale di un particolare sistema di segni e di peculiari regole di organizzazione del testo.

La maggior parte dei test di lettura misura essenzialmente due parametri: velocità e accuratezza; sono invece meno numerosi gli strumenti in grado di valutare la comprensione del testo scritto.
Nell’adattare test per misurare la velocità di lettura bisogna tener conto di diversi fattori. Ipotizzando che la lettura in Braille richieda un tempo maggiore rispetto a quella in nero, si potrebbe commettere un errore sia ignorando tale aspetto, sia sopravvalutandolo. Wetzel e Knowlton (2000) hanno messo a confronto le prestazioni in 3 compiti di lettura di 24 adulti che leggevano in nero e 23 adulti che leggevano in Braille. I compiti di lettura consistevano in: lettura ad alta voce, lettura silenziosa e studio. L’ipotesi era che, dal momento che la tipologia di compito influenza direttamente le strategie di lettura adottate e, di conseguenza, la velocità di lettura, questa avrebbe dovuto risentire della differente natura dei compiti in entrambi i gruppi. I risultati hanno evidenziato che le differenze di velocità, in termini di parole al minuto, tra i diversi compiti di lettura sono analoghe per la lettura in Braille e in nero, suggerendo l’ipotesi che vengano impiegate analoghe strategie da parte dei soggetti di entrambi i gruppi. Sono state riscontrate, inoltre, differenze significative nella velocità di lettura tra i due gruppi per tutti e tre i compiti. Come evidenziato in altri studi, la velocità di lettura Braille è risultata più lenta rispetto a quella in nero. Lo scarto tra le performances dei due gruppi non è però così elevato da giustificare la concessione ai lettori Braille di un tempo illimitato per lo svolgimento delle prove; secondo gli autori sarebbe sufficiente concedere il 50% del tempo in più. Nella lettura ad alta voce i lettori in nero sono risultati del 30% più veloci; nella lettura silenziosa del 60% più veloci. Si tratta però di valori medi: in realtà meno di un terzo dei lettori Braille partecipanti allo studio aveva letto più lentamente dei lettori in nero. Inoltre la difficoltà dei testi utilizzati era stata determinata attraverso una formula che teneva conto del numero di caratteri per parola e del numero di parole in ogni periodo, ma non delle differenti caratteristiche strutturali della pagina stampata in nero e di quella in Braille: una riga di Braille contiene un numero di parole inferiore a quello della riga in nero. Gli autori hanno evidenziato la necessità di elaborare differenti criteri per determinare il livello di difficoltà dei testi in Braille, ma di fatto hanno utilizzato le formule standard.
Legge, Madison e Mansfield (1999) hanno proposto l’uso del MNREAD test per studiare la velocità di lettura in Braille; la velocità media dei 44 soggetti partecipanti allo studio è stata di 124 parole al minuto, equivalente a 7,5 caratteri al secondo. Studi precedenti indicavano velocità medie di lettura variabili dalle 100 parole al minuto (Foulke, 1982; Lorimer & Tobin, 1979) alle 200-400 parole al minuto (Grunwald, 1966; Stocker, 1995). La discrepanza tra questi valori è in parte spiegata dalle differenze tra i testi impiegati nelle rilevazioni (familiarità con gli argomenti trattati, complessità della costruzione della frase, lunghezza delle parole…). Per gli autori di questo studio, adottare come unità di misura i caratteri al secondo ridurrebbe le discrepanze determinate dalla lunghezza delle parole e quindi sarebbe meno influenzata dalla natura del testo.

Conclusioni e proposte
La conoscenza dei processi cognitivi e degli aspetti neuropsicologici sottostanti l’apprendimento della lettura Braille dovrebbe integrare la preparazione degli insegnanti specializzati che hanno il compito di istruire gli alunni con deficit visivo. I consigli pratici, la padronanza degli ausili per la lettura e la scrittura, le tecniche di insegnamento basate su procedure consolidate ed empiricamente “collaudate” non sono sempre sufficienti a rispondere ai problemi che possono sorgere durante le prime fasi di acquisizione della lettura. La ricerca neuropsicologica ha evidenziato come la corteccia visiva nel non vedente lettore Braille subisca un’importante riorganizzazione funzionale. Tale riorganizzazione da una parte comporta il minor ricorso ad un riconoscimento globale della forma della parola (atto che implica un recupero di informazione dalla memoria visiva della forma, per poi associarla con l’informazione immagazzinata nella memoria lessicale) in favore di un’elaborazione di tipo seriale. D’altra parte, essa consente di ampliare la capacità di memoria verbale, in modo da ricostruire agevolmente nuclei di significato e formulare ipotesi, anticipazioni e inferenze basate sul contesto semantico. Altra ragione per cui la memoria verbale riveste un ruolo così importante è che, mentre nel vedente le parole lette evocano spesso delle immagini mentali, nel non vedente evocano un insieme di sensazioni, caratteristiche, relazioni, concetti immagazzinati più spesso in forma verbale.
La relazione esistente tra età di insorgenza del deficit visivo ed estensione del fenomeno della riorganizzazione funzionale della corteccia, unitamente al fatto che tale riorganizzazione avviene soprattutto in funzione della lettura Braille e non per altri compiti di discriminazione tattile, suggeriscono che l’apprendimento del Braille dovrebbe essere avviato il più precocemente possibile. Occorre tuttavia tenere conto del fatto che, per ragioni di natura affettivo-emotiva, i bambini, e in special modo coloro che non sono ciechi dalla nascita, non sempre si sentono pronti ad imparare questo nuovo, “diverso” modo di leggere e di scrivere.
La riorganizzazione delle aree corticali deputate all’elaborazione degli stimoli tattili non è stabile; la mancanza di esercizio determina, anche dopo pochi giorni, una rapida regressione dell’attivazione delle aree somatosensoriali; per questo motivo le abilità acquisite nella lettura Braille potrebbero facilmente risentirne in termini di fluidità, rapidità e accuratezza. Si dovrebbe porre particolare attenzione affinché gli studenti si esercitino nella lettura tutti i giorni, inclusi i periodi di vacanza da scuola, soprattutto nelle prime fasi di apprendimento. È importante inoltre che gli insegnanti abbiano la possibilità di confrontare i risultati raggiunti con degli standard individuati da esperti, in linea con i traguardi attesi per il livello di istruzione al quale gli alunni si trovano. Tali standard dovrebbero indicare chiaramente le competenze che l’alunno dovrebbe possedere, ma dovrebbero anche essere formulati in maniera tale da indicare qualcosa di più del saper eseguire un determinato compito, per evitare una eccessiva frammentazione e una troppo rigida classificazione delle competenze. Gli standard di lettura dovrebbero tener conto delle diverse modalità con cui i soggetti in età evolutiva pensano, esplorano e si rappresentano il mondo ai vari stadi di sviluppo. Essi potrebbero essere integrati nelle indicazioni ministeriali per il curricolo della scuola dell’obbligo; redatti da una commissione di esperti appositamente istituita, dovrebbero essere oggetto di periodica revisione, alla luce delle nuove conoscenze acquisite dalla ricerca. Si dovrebbe inoltre provvedere a costruire, standardizzare e pubblicare delle prove di valutazione oggettiva delle abilità di lettura Braille in italiano. Esse dovrebbero tener conto delle differenze che riguardano tanto le caratteristiche “fisiche” e i segni convenzionali della pagina Braille, quanto le modalità attraverso cui avviene la lettura stessa (canale tattile, serialità nell’elaborazione, velocità media, unità di misura per la velocità, ecc.). L’acquisizione di un buon livello nelle abilità di lettura dovrebbe rappresentare uno degli obiettivi prioritari nell’istruzione dei non vedenti. Ritengo che si dovrebbe ricorrere il meno possibile a software di sintesi vocale o all’ascolto di audiolibri preregistrati. La lettura individuale e silenziosa permette una differente elaborazione del testo, con la possibilità di ritornare indietro, soffermarsi più o meno a lungo su passaggi più o meno chiari, adattando i ritmi di avanzamento della
lettura ai tempi e alle esigenze individuali, senza doversi preoccupare di inviare dei comandi ad apparecchiature esterne. I mezzi tecnologici possono agevolare l’accesso ai testi, considerando anche la scarsa reperibilità ed il costo delle trascrizioni, ma non dovrebbero diventare mezzi compensativi di una scarsa abilità di lettura, se non nel caso di soggetti adulti che in passato non abbiano potuto ricevere, per vari motivi, un’adeguata alfabetizzazione.

 

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