Loretta Secchi – Le metodologie dell’esplorazione tattile

Le metodologie dell’esplorazione tattile. Per una conoscenza delle forme della rappresentazione ed estensione di senso dell’ aptica.
Contributo in occasione della manifestazione “Libri che prendono forma” (Roma 17 marzo 2010, MiBAC – FNIPC)

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Il diritto al pensiero simbolico

L’educazione estetica nei bambini minorati della vista non può prescindere da una verifica dei prerequisiti di base, anche legati all’esperienza della manipolazione. Essa può iniziare già dai tre o quattro anni di età, e serve a incoraggiare il bimbo, stimolandolo e coltivando la sua curiosità verso il mondo. La strutturazione del pensiero e dell’immaginazione è legata alla qualità e quantità di percezione ed esperienza della realtà. Gioco, ascolto ed espressione, divengono così utili strumenti di costruzione di tutti quei riferimenti al mondo circostante e al pensiero simbolico che costituiscono il diritto alla libera creazione, requisito fondamentale e utile per un’educazione estetica intesa come introduzione al significato esteso della narrazione verbale e visiva, resa però accessibile, mediante il tatto, all’intelletto. Non dobbiamo sottovalutare che nel bambino vedente l’elaborazione delle informazioni, pur avendo origini tattili, matura rapidamente per effetto di competenze percettive orientate da competenze visive laddove, nel bambino non vedente, l’assenza di informazioni visive genera una modificazione delle capacità di orientamento e di riflesso dell’esperienza, quindi della coscienza dei concetti spaziali. 1 Accade che, in alcuni casi, alla minorazione visiva si associno deficit della comunicazione determinati dall’assenza di risposta mimica alla comunicazione non verbale e sostanzialmente visiva, totalmente assente in caso di cecità congenita o precoce ma anche in caso di grave ipovisione. Per lo stesso principio, a una carenza esperienziale, fin dai primi anni di vita può subentrare, per effetto di consuetudini comunicative non pienamente equilibrate, una attitudine al verbalismo, quindi a un controllo del linguaggio apparentemente pertinente, e in realtà non pienamente consapevole. Alla condizione della minorazione visiva corrisponde spesso un ritardo nello sviluppo del pensiero simbolico che rende più difficile afferrare le sfumature e le estensioni di senso di realtà non tangibili, o immediatamente afferrabili, quindi di concetti astratti legati solo parzialmente ai dati di realtà. Ed è proprio per correggere e limitare il rischio di inibizione del pensiero simbolico che la rappresentazione dotata di valore estetico deve offrirsi nelle forme della ‘ripresentazione’ di dati di realtà e di sentimenti accostabili a immagini simboliche, a schemi e a rappresentazioni visuo-tattili che rimandino alla realtà per permettere una organizzazione, interiorizzazione ed elaborazione del pensiero sulle cose. Esattamente come accade per l’acquisizione della scrittura, così per la acquisizione e produzione di immagini, serve dapprima accogliere istintivamente i modelli linguistici, successivamente comprenderne la struttura grammaticale e infine sperimentarne l’uso per elaborare una propria gestione creativa finalizzata alla conquista di una ricchezza espressiva.
La graduale esperienza di costanti e variabili nel confronto con la realtà semplice e complessa costituisce il senso dell’educazione estetica infantile in presenza di minorazione visiva, pensata sulle facoltà percettive, cognitive e interpretative alle quali la tattilità introduce se opportunamente sviluppata ed educata. L’importanza di comprendere il proprio schema corporeo per apprendere concetti topologici e topografici corrispondenti alla nostra posizione fisica e psicologica nello spazio, costituisce una delle ragioni per le quali allo sviluppo della tattilità sarebbe bene associare esperienze propriocettive e cinestetiche utili alla presa di coscienza ma anche alla piacevole scoperta del nostro rapporto con il movimento, con la spazialità. La scoperta degli oggetti, mediante la percezione della materia, del vuoto, del suono, del silenzio, della forma e del suo significato, fonda la relazione interno esterno, sé/altro da sé, e costituisce sin dalla più tenera età ragione di spontanea motivazione all’impulso percettivo e conoscitivo. L’esperienza della relazione tra le cose, originerà nel percorso di vita e nelle tappe dello sviluppo la considerazione del punto di vista mobile, facilitando la creazione di una flessibilità del pensiero, utile a contrastare rischi di fissità e stereotipie. L’educazione alla tattilità, a tutti gli effetti, si esprime nell’appropriazione aptica del mondo concreto, nella sua elaborazione e nella restituzione pratica di quanto mentalmente raffigurato. Il fare creativo, in età infantile, e nella dimensione della minorazione visiva, costituisce di per sé un’opportunità espressiva liberatoria ma anche una necessità cognitiva e comunicativa che non può essere trascurata e in casi critici deve essere incoraggiata senza forzature, con spirito pedagogico non prescrittivo. La manipolazione della creta e l’educazione alla tattilità fine, sono gli strumenti base dai quali origina ogni trasformazione ed evoluzione del sapere pensare per fare e comunicare il proprio pensiero creativo. Per questo nei servizi educativi del Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna, l’educazione all’immagine riservata ai bambini con minorazione visiva, nella condizione dell’ipovedenza, della cecità acquisita, della cecità congenita e infine della pluriminorazione, muove dalla verifica dei prerequisiti di base e inizialmente deve fondarsi sulla libera creazione di immagini espressive che restituiscano nella materia la creatività del bambino e la sua necessità di dare forma e significato alle parole, agli enunciati. Dare forma al pensiero e ai sentimenti sarà punto di partenza per la costruzione, nel tempo, di mappe mentali funzionali alla strutturazione del linguaggio verbo-visuale e visuo-tattile dei bambini e dei ragazzi minorati della vista. Il confronto e la conoscenza tattile dei modelli di cui parleremo nei prossimi paragrafi avviene durante il percorso scolastico collegato solitamente alle ultime fasi del percorso di scuola primaria, quindi subentra all’età di circa otto o nove anni, quando la percezione della realtà è più matura e la comprensione di codici e simboli avviata. La confidenza con i libri tattili e quindi con le storie ivi narrate, in quell’espressione felice per cui i libri prendono forma, quanto i pensieri, sta alla base dell’investimento cognitivo al quale il bambino si appresta nel momento in cui dal ricevere passa al dare, dall’ascolto alla produzione di suoni e contenuti, dalla percezione alla creazione di immagini, frutto del suo mondo interiore. La graduale acquisizione di competenze aptico-motorie e di tattilità fine rappresenta lo strumento mediante il quale sarà possibile accogliere e penetrare la vita delle forme come vita del pensiero e del corpo fisico a cui ogni concetto più o meno concreto e astratto rimanda, facilitando la comunicazione di un sentire comune.
Esperienza diretta e visione mediata dalla rappresentazione della realtà diverranno così passaggi essenziali per conoscere e disporre delle infinite possibilità che simbolo e metafora offrono, di vedere e rivedere il nostro e altrui mondo interno ed esterno al corpo di cui siamo dotati. 2

Origini del Museo Anteros

Il Museo tattile di Pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza è stato fondato a Bologna nel 1999, ed è il risultato di un progetto di ricerca applicata avviato nel 1995 presso l’Associazione Scuola di Scultura Applicata, in collaborazione con la Cattedra di Ottica fisiopatologica dell’Ospedale Sant’Orsola, l’Unione Italiana dei Ciechi e l’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna. La sua collezione è costituita da traduzioni tridimensionali di capolavori pittorici rappresentativi delle età comprese tra classicità e contemporaneità, progettate e realizzate da un’equipe composta da esperti in teoria dell’arte, psicologia della percezione tattile e ottica, storia e pedagogia dell’arte, tiflologia e scultura applicata. La collezione attualmente comprende quaranta esemplari, tra riproduzioni tridimensionali in bassorilievo prospettico di celebri dipinti, rilievi tecnici, copie di rilievi rinascimentali, tavole propedeutiche al concetto di stile storico, tavole funzionali alla comprensione della prospettiva e delle categorie della rappresentazione.
Ogni riproduzione d’arte è corredata da descrizioni storico-artistiche che informano il lettore sui contenuti formali e contenutistici, stilistici e iconografici dell’opera, guidandolo nell’esplorazione tattile di ciascuna traduzione tridimensionale. 3
All’interno del Museo Anteros si svolgono lezioni di Storia dell’arte e metodologia interpretativa finalizzate all’integrazione didattica delle persone vedenti e non vedenti di ogni età, condizione e formazione.
Allestimento e logiche espositive
Le traduzioni tridimensionali dei capolavori pittorici sono esposte all’interno di una sala che presenta postazioni di lettura finalizzate alla percezione tattile dei bassorilievi custoditi. Ogni bassorilievo è traduzione di un dipinto opportunamente selezionato e inserito entro un percorso cronologico, iconografico e stilistico esemplare: scopo di questo ordine diacronico è evidenziare la trasformazione dei modi della rappresentazione nell’arte occidentale con l’ausilio di tavole didattiche illustrative. A ogni rilievo corrispondono schede descrittive sia in braille sia stampate con caratteri ingranditi, corrispondenti a tre progressivi livelli di approfondimento dell’immagine: tali schede informano il visitatore non vedente e ipovedente sui contenuti stilistici, iconografici e iconologici dell’opera d’arte, orientandolo nelle tecniche di percezione tattile del rilievo.

Finalità didattiche ed educative del Museo Anteros

Anche per i non vedenti la conoscenza della pittura passa attraverso la comprensione della forma, della composizione e dello spazio prospettico: per questa ragione il museo offre lezioni di Storia dell’Arte mirate a rendere concettualmente comprensibili i concetti di rappresentazione della realtà. La didattica adottata si pone infatti l’obiettivo di rendere possibile e autentica l’integrazione scolastica, sociale e professionale delle persone minorate della vista, indipendentemente da età e condizione di minorazione, attraverso la acquisizione di nozioni utili. Le unità didattiche, rivolte alle scuole di ogni ordine e grado, sono concordate con insegnanti curricolari di materie artistiche e con insegnanti di sostegno, e riguardano specificatamente l’integrazione scolastica degli allievi disabili della vista, prevedendo incontri di lettura tattile riservati al gruppo classe, unitamente a incontri personalizzati riservati invece agli allievi minorati. Tali incontri hanno come scopo primario il rafforzamento della comprensione dei sistemi di rappresentazione nelle immagini artistiche, per facilitare la condivisione dei linguaggi visivi, bidimensionali e tridimensionali, e la comprensione delle metafore in esse presenti.
Le attività didattiche sono prevalentemente concentrate sul territorio provinciale e regionale, ma da tempo sono estese all’ambito nazionale. Tutte le informazioni relative alle composizioni pittoriche, rese leggibili al tatto, escludono la nozione di colore, nozione che è comunque possibile comunicare alle persone ipovedenti con riproduzioni fotografiche ingrandite, grazie all’uso di strumenti tiflotecnici e tiflodidattici quali i video ingranditori, e che è possibile richiamare alla memoria nelle persone non vedenti tardive o acquisite. Un crescente interesse per le attività didattiche e di ricerca del Museo è testimoniato dalle Istituzioni Universitarie italiane e straniere che si rivolgono all’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di cui il Museo tattile è parte integrante, per lo svolgimento di conferenze e attività di formazione di operatori museali, educatori e insegnanti, sulla percezione tattile e ottica delle immagini dotate di valore estetico. Le attività di ricerca sui processi cognitivi interessano l’apprendimento dell’immagine nelle persone non vedenti e ipovedenti, e si avvalgono di laboratori di modellazione funzionali alla verifica del grado di acquisizione e restituzione dell’immagine, dapprima esperita al tatto, successivamente ricostruita nella mente del lettore e poi riprodotte in creta. Le guide alla lettura tattile della collezione e le lezioni di educazione estetica sono pertanto sia collettive che individuali, e sostenute dallo studio dei processi cognitivi utili all’apprendimento dell’immagine nelle persone non vedenti congenite, non vedenti acquisite e ipovedenti. Per le persone non vedenti e ipovedenti è essenziale potenziare le facoltà immaginative e conoscitive della mente, anche grazie ad una corretta integrazione dei sensi residui, mentre l’affinamento della tattilità facilita lo sviluppo consapevole dell’autonomia percettiva e la funzione del pensiero visivo. Ma l’importanza di conoscere l’arte, sposando i sensi all’intelletto, si rivela anche quando i vedenti scoprono che ‘vedere con le mani’ rafforza la comprensione dell’opera d’arte. Integrare vista e tatto permette di percepire in modo più organizzato la composizione e induce a comprendere in modo meno scontato l’immagine.

Dalla realtà alla rappresentazione: la costruzione dell’immagine nei disabili della vista e nei normodotati

Il tatto è un tipo di percezione che «invade e modifica i suoi obiettivi attraverso l’azione muscolare e rappresenta un coinvolgimento tutto personale che provoca numerosi inconvenienti», come spiega Rudolf Arnheim4. Si sostiene che nell’educazione del bambino vedente e non vedente e di riflesso nella crescita delle persone disabili della vista ma anche normodotate, ben presto subentri la consapevolezza dell’impossibilità di toccare ogni cosa. Per ragioni culturali, ma anche per necessità, una componente istintiva e primaria della conoscenza, la manipolazione, rimane in parte inibita. Se il bambino normodotato può, nel tempo, colmare in una certa misura la lacuna mediante azioni cognitive sintetico-visive che evochino il contatto intimo con le cose, il bambino cieco non può, con altrettanta autonomia, recuperare tale conoscenza se privato di una opportuna e approfondita educazione alla tattilità.
Si può dire che la formazione della persona non vedente, in età infantile, evolutiva e adulta – tenendo sempre in considerazione la differenza di condizioni cognitive tra non vedenti congeniti, acquisiti e ipovedenti – andrebbe letta in un contesto sociale più vasto.5 La mente può organizzare una complessa Gestalt ma non può elaborare tutti gli elementi che la compongono in un solo atto: Arnheim spiega che la visione trae profitto dall’immagine piena e costante del campo visivo, ma questo sfondo è solo la superficie su cui opera la vera percezione.
Quindi anche la modalità percettiva ottica non può conoscere una vera e propria simultaneità. Tuttavia, rispetto alla modalità tattile, la vista presenta tempi più rapidi e variabili più intuitive nelle modalità di strutturazione globale e integrata dell’immagine.6 Gli organi recettori del tatto fanno sì che la tattilità sia sempre coordinata alla complessità delle sensazioni cinestesiche all’interno del corpo. Per questo il riconoscimento di un oggetto, e anche la comprensione tattile della sua rappresentazione plastica, risultano agevolati quando il senso interno dell’equilibrio fornisce le dimensioni spaziali della verticalità e dell’orizzontalità, del fronte e del retro, dell’alto e del basso, di destra e sinistra e quando, all’interno di queste coordinate, percezione dell’oggetto e sua rappresentazione vengono completate dalle direzioni in cui il torso, le braccia e le dita sono orientati quali strumenti aggiuntivi di comprensione. Le mani, con le varie articolazioni che possono muoversi organicamente, concertano gli stimoli tattili e la visione, che non conoscerebbe esito eguale, può essere in parte assimilata alla tattilità, solo appropriandosi di questa pluralità sensoriale.
La similitudine tra i comportamenti tattili ed ottici si basa su modalità percettive che si assomigliano, perché portano a livello della coscienza l’articolato fenomeno della visione. Con la sincresi del vedere, con l’analisi dei percorsi progressivi e sequenziali di lettura, infine con la sintesi raggiunta nella comprensione, riconoscimento e significazione dei soggetti esperiti sono azioni previste tanto nella percezione ottica del vedente quanto nella percezione tattile del non vedente.
Procedimento di progettazione e realizzazione del bassorilievo prospettico
Il bassorilievo prospettico ha origini nel Rinascimento fiorentino e la sua caratteristica peculiare è la presenza del sottosquadro, ovvero di profili staccati dal piano di posa, corrispondenti alle qualità estetiche del disegno, delle linee di contorno e dei volumi dei corpi.
Per questa ragione il bassorilievo tecnico mutua le regole della rappresentazione dalla pittura prospettica quattrocentesca e le traduce in valori tattili. 7 I piani di posa servono a codificare la profondità di campo presente nell’opera plasticamente trasposta, e quindi l’unità di misura di ciascun piano dipende dallo stile del dipinto, afferente al suo periodo storico. La realizzazione della traduzione tridimensionale può essere espressa in scala reale, maggiore o minore rispetto all’originale, e comunque adeguata alle esigenze della sua leggibilità tattile: si parte da un piano di argilla sul quale riportare i contorni del soggetto, e a seguire si procede con la costruzione dei volumi per una progressiva definizione delle forme.
La creazione del prototipo è volutamente artigianale, così da permettere una maggiore sensibilità e finezza interpretativa, restitutiva dell’immagine, richiedendo parimenti una corretta interpretazione dei valori stilistici, estetici e volumetrici dell’opera esaminata.
E’ inoltre necessario valutare anche il grado di leggibilità del rilievo, nel rispetto delle soglie tattili tollerabili e condivise nel mondo della percezione aptica e della disabilità visiva.
La progettazione nasce da un lavoro di équipe*, e vede congiunte nozioni di modellazione, psicologia della percezione, storia e pedagogia dell’arte, tiflologia: in fase di realizzazione e completamento la riproduzione viene testata da persone minorate della vista che abbiano maturato competenza in materia.
Una volta realizzato il prototipo tridimensionale in creta, e levigate, texturizzate e perfezionate le qualità tattili delle superfici, si procede alla realizzazione dello stampo in gomma siliconica da cui si ricaverà un nuovo originale in resina bianca o gesso alabastrino.

Sintesi delle fasi di realizzazione di un bassorilievo tecnico:

1. Studio preliminare della riproduzione in scala del dipinto, e della traduzione dei valori estetici pittorici in valori tattili.
2. Preparazione del lucido e trasposizione, sul piano in creta, delle linee di contorno, di volumi e superfici pittoriche da tradurre in valori plastici.
3. Modellazione dei volumi funzionali alla creazione dei rapporti di profondità tra i diversi piani di posa presenti nella composizione.
4. Definizione delle forme e cura dei dettagli, eventuale texturizzazione delle superfici e test di leggibilità tattile del rilievo.
5. Realizzazione dello stampo in gomma siliconica da cui produrre le copie in resina bianca o in gesso alabastrino.

Come avviene la lettura tattile di un bassorilievo prospettico con l’applicazione didattica del metodo tripartito panofskiano

La lettura tattile è progressiva e organizzata: dapprima guidata, successivamente autonoma. Prima di praticarla è opportuno conoscere l’entità della disabilità della persona non vedente interessata.
Percezione, cognizione e significazione dell’immagine, queste in sintesi le tre fasi che corrispondono ai tre livelli di interpretazione del metodo tripartito panofskiano9, durante l’analisi dell’immagine artistica. Esse coincidono con tre livelli di lettura, correlati e inscindibili, che vengono sempre rispettati ma praticati in proporzioni diverse. Dopo aver letto le strutture geometriche nascoste e gli schemi interni della composizione (analisi preiconografica), riconosciuto i contenuti convenzionali dell’immagine (analisi iconografica), ed esplorato il senso dell’opera d’arte (analisi iconologica) il lettore giunge all’esperienza estetica, anche in relazione al suo pregresso culturale e alle sue potenzialità percettive. 10
– Percezione tattile delle forme e delle strutture (anche ottica in caso di uso del residuo visivo) = Lettura preiconografica
– Cognizione delle forme e riconoscimento della loro identità = Analisi iconografica
– Significazione della rappresentazione e sua estensione di senso = Interpretazione iconologica
Nonostante l’esigenza di comunicare modelli di lettura, presso il Museo Tattile Anteros le persone con disabilità visive sono incoraggiate ad apprendere soluzioni percettive, esplorando le opere con tecniche di lettura tattile che, una volta acquisite, possono essere autonomamente rivisitate e implementate attraverso soluzioni individuali, che nascono da una personale economia tattile e cognitiva. Vediamo comunque, qui di seguito riportate, alcune delle tecniche di esplorazione aptica collaudate, considerate tra le più efficaci.

Costruzione visiva e gestuale di linee di forza necessarie all’individuazione di relazioni tra soggetti presenti nella composizione

Per l’apprezzamento delle qualità spaziali, topografiche e topologiche, per la comprensione di coordinate spaziali (alto / basso, orizzontale / verticale) di localizzazione e lateralizzazione (destra / sinistra), infine per la conoscenza dei contorni della forma, delle qualità volumetriche ed espressive di aggettanze, piani di posa prospettici, scorci, qualora la rappresentazione richieda la cognizione di aberrazioni ottiche e deformazioni prospettiche, le modalità potranno essere:
1. alternanza di movimenti a ‘pinza’ e a ‘pennello’ con uso dell’indice e pollice congiunti, con rotazione e allineamento dei polpastrelli per afferrare e ridisegnare i contorni delle forme; facendo scorrere le dita lungo i profili dei sottosquadri allo scopo di significarne il progressivo digradare dei piani. Gerarchizzazione e organizzazione progressiva delle fasi di lettura degli elementi compositivi mediante apertura delle dita e contenimento delle forme nei palmi delle mani.
2. uso della bimanualità (movimento coordinato delle mani), talvolta simmetrico, talvolta speculare, in relazione allo schema presente nella rappresentazione iconica.
3. sfioramento della superficie per percepire variazioni di texture e modulazioni plastiche.
Queste modalità specifiche per la lettura dell’immagine bidimensionale tradotta in tre dimensioni attingono alle tecniche di esplorazione tattile utilizzate nella lettura dei sussidi tiflodidattici (disegni a rilievo, plastici in termoform, mappe tattili) e anche dall’esperienza pregressa di lettura della scultura a tutto tondo. Ma va detto che le tecniche adottate su immagini semi-tridimensionali facilitano notevolmente la comprensione delle forme immerse in uno spazio che ne evidenzi schemi, strutture interne, relazioni e caratteri spazio-temporali. Gli esercizi che anticipano le letture di rappresentazioni pittoriche, tradotte in bassorilievo, richiedono azioni preliminari di natura cinestesica e propriocettiva e predispongono tanto all’esplorazione degli oggetti reali, quanto alla conoscenza della loro rappresentazione. 11
Lo scopo è facilitare il passaggio dalla conoscenza della realtà alla sua rappresentazione schematica e tecnica, affinché, garantiti i prerequisiti essenziali, sia possibile accedere all’esperienza estetica.
L’uso della descrizione verbale, simultaneo alla guida tattile, serve a rafforzare la comprensione dell’opera e ha talvolta funzioni colmative: il linguaggio deve essere essenziale ed esauriente, informativo, e la parola, qualora necessario, può risultare ‘equivalente estetico’ della forma. Le modalità illustrative devono essere distillate con cura e la guida non deve essere invasiva, deve invece capire i tempi e le esigenze del lettore ed evitare espressioni metaforiche intraducibili in esperienze percettive e cognitive accessibili.
In sede di laboratorio di modellazione, poi, attraverso la riproduzione plastica, in creta, dell’immagine artistica, precedentemente letta al tatto, è possibile verificare il grado di apprendimento della forma nel comportamento dell’allievo e distinguere tra un’autentica, cosciente ricostruzione della composizione ed eventuali meccanicismi mnemonici e manuali che, di per sé, non garantiscono la reale comprensione di realtà e simbolizzazione.
Per facilitare il processo cognitivo e interpretativo dell’immagine, ci si avvale anche di esperienze propriocettive (presa di coscienza dello schema corporeo, contrazioni e distensioni muscolari, mobilità) delle tecniche cinestesiche (acquisizione di posture in relazione allo spazio e ad altri soggetti) e dell’esperienza aptica generale (risposta della superficie corporea ai diversi tipi di sollecitazione tattile).
Il traguardo è pervenire, attraverso l’aptica, alla distinzione tra realtà e rappresentazione: percezione, cognizione e interpretazione delle immagini rafforzano l’autonomia del disabile della vista e hanno funzione mnestica, poiché permettono di preservare i dati acquisiti. Teoria dell’arte, Formalismo, Storia degli stili, Contenutismo, Semiotica e Psicologia della percezione confluiscono (in forma opportunamente selezionata e integrata) nell’applicazione didattica del metodo tripartito panofskiano, adeguato alle esigenze percettive e cognitive dei disabili della vista. Ma lettura preiconografica, analisi iconografica e interpretazione iconologica sono passaggi che, integrati e contestualizzati, risultano funzionali sia alle esigenze cognitive delle persone non vedenti congenite, tardive e ipovedenti, che alle esigenze cognitive delle persone normovedenti, e questo per una ragione ben precisa: il ruolo educativo della progressione nell’apprendimento. Esiste infatti un potenziale umano nel costante perfezionamento del sé: prendere coscienza dei processi con i quali apprendiamo la realtà e la sua rappresentazione reale e simbolica attraverso la percezione, la significazione delle immagini e la interiorizzazione del sentimento della forma.

Verifica dei processi cognitivi nella lettura tattile autonoma e nel laboratorio di modellazione della creta

I processi cognitivi sono verificati mediante l’esame del grado di autonomia espresso nella lettura tattile autonoma, attraverso la trasmissione dei contenuti ad un’altra persona in forma di guida, e infine attraverso la restituzione dell’immagine svolta presso il laboratorio di modellazione. Le verifiche servono a cogliere i diversi gradi di percezione e conservazione mnemonica delle immagini e tutto questo concorre al perfezionamento degli strumenti di percezione, cognizione, interpretazione delle forme, reificazione dei concetti. Dopo una prima verifica che avviene durante le lezioni individuali e collettive di Storia dell’arte e percezione ottico-tattile delle riproduzioni plastiche dei dipinti, si approda al laboratorio di modellazione dove, plasmando la creta, gli allievi non vedenti congeniti, acquisiti e ipovedenti, possono realizzare copia dei rilievi precedentemente studiati e letti al tatto. 12 Il laboratorio permette di verificare il grado di apprendimento della forma e il grado di restituzione dell’immagine mentale in rappresentazione plastica. Il valore estetico di questi manufatti è variabile e ancillare rispetto alla funzione cognitiva: fondamentale è valutare la restituzione di posture e proporzioni, allo scopo di capire quanto sia stata interiorizzata una visione di insieme delle parti che compongono l’opera. Importante è altresì considerare il valore espressivo di ciascun allievo, testimoniato dai risultati della modellazione ma anche dalle diverse fasi dell’attività laboratoriale, per capire quali elementi formali e contenutistici siano rimasti più impressi, come e perché. Il laboratorio di modellazione permette infine di rafforzare i meccanismi di appropriazione e ricostruzione della composizione, svelando il grado di assimilazione dei concetti spaziali e temporali, per fissare intensamente, nella memoria, l’anatomia dei corpi, la morfologia degli oggetti, il sentimento della forma.

La parola intesa come equivalente estetico dell’immagine artistica

Si può raccontare un dipinto a coloro che non possono vederlo con gli occhi ma possono ricostruirlo nella mente con l’aiuto dell’immaginazione, dell’udito e del tatto? Qual è il ruolo della parola intesa come equivalente estetico dell’immagine? E come, in presenza di disabilità visiva, l’ascolto di una descrizione può essere aiutato dal contatto diretto con un’immagine tridimensionale, tattilmente percepibile? E quindi, usando i sensi residui vicarianti la vista, si può potenziare l’integrazione tra sensi e intelletto, contando sul contributo della tattilità, a supporto del racconto?
A queste domande è possibile rispondere affermativamente solo se, a una riflessione teorica su questi temi, segue una verifica concreta sugli effetti della ricerca applicata all’educazione estetica, in presenza di deficit visivo. La conoscenza del mondo della rappresentazione nei non vedenti è cosa complessa, e richiede molta prudenza ed esperienza nella valutazione della ricaduta cognitiva, psicologica ed emozionale, che l’interiorizzazione dell’opera d’arte comporta nelle persone minorate della vista.
Per stabilire se la metafora abbia un valore cognitivo, e se questo valore sia utile nel far vivere, o rivivere, un’esperienza estetica, è importante considerare a quale campo di indagine, filosofico, semiotico, psicologico ed estetico, essa afferisca. La ricerca attuale si rivolge a ciò che ancora oggi appare come un problema, e che non è tanto la realizzazione del senso, quanto il ‘luogo’ del senso, cioè la lingua, o il testo, o la mente stessa dell’interprete. La metafora nell’esperienza estetica può determinare e forse facilitare la comprensione dell’opera d’arte, indipendentemente dalla natura del deficit sensoriale. Questo perché, in presenza di cecità, la metafora sarà espressa dalle parole, attraverso il linguaggio poetico, in presenza di sordità, la metafora sarà espressa attraverso il linguaggio iconico: in entrambi i casi essa porterà ad ‘altra’ e ulteriore conoscenza dell’opera d’arte. Stabilire l’utilità della descrizione e della comunicazione dell’esperienza estetica, decidere se si può parlare di conoscenza quando questa è stata acquisita attraverso le percezioni sensoriali di altri, è necessario per dimostrare quale posto nel mondo sia riservato alle persone non vedenti congenite o acquisite. Per alcuni filosofi come Max Black e Martin Milligan, il linguaggio è uno strumento indispensabile con cui tutto può essere descritto, ma proprio per questo è altresì importante verificare se il linguaggio, opportunamente distillato e potenziato, possa realmente condurre all’esperienza estetica. 13 Per tutto ciò è fondamentale che la parola, intesa come traduzione verbale di valori di forma, sia anche accompagnata dalla percezione tattile della forma dotata di valore estetico. Sappiamo che la parola, intesa come descrizione poetica, e narrazione, ricrea nella nostra mente l’immagine del mondo, risignificandone la rappresentazione iconica o aniconica. E come lo sguardo, accarezzando linee di contorno, superfici e volumi di un’opera pittorica, ci permette di ridisegnare l’immagine, così la mano, sfiorando linee, superfici e volumi a rilievo della sua traduzione tridimensionale, permette una conoscenza della composizione e del suo significato estetico. Ma è sempre nella mente, e nella connessione di percezioni sensoriali e conoscenze diffuse, che noi elaboriamo la visione, sia di natura ottica, sia di natura aptica. E mai il vedere è solo frutto della fisiologia dell’occhio o del tatto.
L’elaborazione intellettuale della sinergia tra i sensi sta quindi alla base della visione, in relazione a una buona percezione di forma e contenuto. Occorre per questo il contatto diretto con la fisicità e occorre la potenza icastica della parola che, svelando il senso riposto della forma, ne rende possibile una visione interiore e una sua interpretazione. Serve un sentire sorretto da un sapere.
«Bisogna sempre scusarsi di parlare di pittura. Ma ci sono rilevanti ragioni per non tacerne. Tutte le arti vivono di parole», così scriveva Paul Valéry nel saggio del 1920 Scritti sull’arte, e da quell’affermazione noi ancora oggi deriviamo l’idea dell’uso della parola come equivalente estetico capace di tradurre in discorso un’opera d’arte. In fondo l’ekphrasis è descrizione del visibile in parole, come spiega Umberto Eco, in un suo recente saggio intitolato Dire quasi la stessa cosa. 14 Ma trattando la disabilità visiva, non si può abusare della parola: essa è fondamentale solo se non induce al verbalismo e solo se rafforzata dall’esperienza concreta del suo significato entro i diversi contesti in cui è utilizzata. 15
Presso il Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza, dal 1999 si studia un metodo didattico atto a potenziare le facoltà cognitive e interpretative delle persone minorate della vista. Lo scopo è pervenire a una condivisione di modi della rappresentazione visivi, resi tattilmente leggibili, funzionali a facilitare la comunicazione e l’integrazione scolastica, sociale e professionale tra persone non vedenti e vedenti.
Attraverso l’esperienza del vedere più profondamente, grazie alle facoltà analitiche del tatto, si ha anche modo di riflettere compiutamente sulle potenzialità della vista e sulla forza dello sguardo interiore. Saper leggere analiticamente, e poi in sintesi, la realtà, è una forma di rispetto per la complessità del mondo e una forma di sana volontà di semplificazione dello stesso, non riduttiva, affinché ogni processo conoscitivo possa essere interiorizzato, rivissuto e condiviso, senza la pretesa di renderlo paradigma indiscusso, schema rigido, ma piuttosto considerandolo un modello a cui ispirarsi. La profondità dello sguardo dipende dalla capacità di correlazione tra quegli aspetti della vita intellettuale e fisica che, costituendo la nostra percezione della realtà, ci aiutano a codificare e decodificare ogni nostra esperienza per ciò che siamo, per come creiamo assonanze, coerenze, relazioni tra fenomeni. In questo modo, vedere è sentire e sentire è conoscere. 16
Non affinando la pratica del sentire, che richiede di aprire in tutti i sensi la propria ricettività, si rischia di precostituire la visione, con il risultato di non affrontare lo sforzo di comprendere il valore della difficoltà, metafora dell’incognito. E incontrare la difficoltà significa leggere nella individuale potenzialità, nel superamento della paura di tutto ciò che può generare una crisi, creando confronto. Accettare una sfida con la complessità, significa anche avere la forza di esplorare se stessi, per scoprire le effettive risorse interiori e la segreta volontà, che ognuno custodisce in sé, di orientarsi a una metamorfosi evolutiva, spostando di volta in volta il proprio limite. Come spiega Angelo Errani, riferendosi alle teorie di Vygotskij, «Una disabilità, proprio perché costringe ad incontrare degli ostacoli, determina, nel soggetto che ne sperimenta gli effetti, anche una ricerca di strategie per superarli e attiva una riorganizzazione delle risorse della persona». 17 Ecco perché è utile percepire il filo rosso che lega la vita delle forme del pensiero psichico e spirituale; parimenti utile è leggere l’arte come rappresentazione dell’umano e della sua tensione conoscitiva, tra istinto e coscienza.
L’arte è proiezione delle infinite variabili con le quali esprimiamo i nostri bisogni più autentici e le nostre speranze: è memoria e sintesi dei nostri processi interiori, frutto dell’essere al tempo stesso eredi spirituali delle esperienze passate e donatori di esperienze per il futuro delle generazioni a venire. Un’arte che non possa essere comunicata nel suo senso più profondo e convertita in autonome consapevolezze e abilità, non ha funzione educativa, e non può aprire alla forza di divenire artefici del propria interiorità. Conoscere la vita, nelle sue gioie, dolori, perdite e riconquiste, significa riconoscere le molte forme dei linguaggi visivi e ciò che l’umano raffigura del sé. La convergenza delle forze prodotte dall’immaginazione avvalora la facoltà trasmutatoria che l’uomo ha in sé e ne delinea il carattere di tramite ‘mentale’ che muove la simbiosi tra visione intellettiva e percezione sensibile. I simboli e le metafore sono il risultato di coscienti elaborazioni, scomposizioni e composizioni di figure tratte dal mondo sensibile ed evocative di un mondo altro, intelligibile. Attraverso l’uso del linguaggio e per analogie, facendo del tatto la sede delle proprie esperienze, il non vedente congenito arriva alla comprensione del mondo a tal punto che, a sua volta, riesce a dare una felice interpretazione delle cose esistenti da lui percepite, come spiega il filosofo illuminista Denis Diderot, nella Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono: «[…] poiché non c’è lingua che non sia povera di parole appropriate per gli scrittori con una viva immaginazione, questi sono nella condizione degli stranieri dotati di spirito, le situazioni che inventano, le sfumature delicate che colgono nei personaggi, la naturalezza che conferiscono a certe rappresentazioni li scostano di continuo dal parlato comune, e fanno adottare loro espressioni ammirevoli». 18 Non tutta la conoscenza arriva tramite l’esperienza, ma come può avvenire nel cieco congenito un’esperienza legata all’estetica, usando come mezzo le parole? E’ qui che interviene il confronto diretto con un linguaggio metaforico, in grado di risvegliare conoscenze in analogia con gli altri sensi, facilmente comprensibili: e le più efficaci sono certamente quelle dette sinestesiche. La sinestesia è infatti una stimolazione sensoriale influenzata dall’intervento degli altri organi di senso o di tutto l’organismo; nell’arte si manifesta nella percezione emozionale delle immagini e qui la metafora sembra giocare un ruolo costruttivo, in quanto luogo d’incontro privilegiato tra linguaggio e sinestesia. Nella tradizione della critica e della teoria dell’arte del secolo scorso si annoverano celebri descrizioni di opere d’arte che adottano un linguaggio figurato volto a svelarne i tratti significativi, potenziandone la conoscenza per effetto di immagini forti che si sovrappongono al soggetto descritto, onde colmare una parte di conoscenze rivolte principalmente a dati storici, strutturali e compositivi. Qui la funzione della parola è di trattenere lo sguardo e la mente del fruitore, così da permettergli di viverne appieno la vicenda, suscitando in lui un modo partecipativo che è anche aderenza all’essenza e al significato più profondo e sostanziale dell’opera. Un caso emblematico di questo modo di intendere la ri-creazione verbale dell’opera d’arte è rappresentato dalla descrizione della Vocazione di San Matteo, opera mirabile di Caravaggio, ‘tradotta’ dal celebre storico dell’arte Roberto Longhi: « Non v’è vocazione di Matteo senza che il raggio, assieme col Cristo, entri dalla porta schiusa e ferisca la turpe tavolata dei giocatori d’azzardo. […] La luce che rade sotto il finestrone, spartita dall’ombra come in un quadrante regolabile, lascia riflessi fiochi sulla sordida impannata: sospende nell’aria grave del Cristo mentre l’ombra corrode il suo sguardo cavo; striscia sulle piume, si intride nelle guance, si specchia nelle sete dei giocatorelli; sosta su Matteo mentre, raddoppiando ancora con la destra la puntata, addita se stesso, quasi chiedesse: «Vuol me?» (e il viso scocca dall’angolo delle palpebre sbarrate il ciglio dell’ombra); spiuma confusamente la canizie del vecchio importuno in occhiali; per ultimo, fruga viso e spalle del giocatore a capotavola che vorrebbe immergersi nell’ombra lurida della propria perplessità ». 19
La tavolata è ‘turpe’, ossia brutta, e il termine che la definisce ha, in questo caso, valenza morale. La tavola si umanizza, diventa sintesi di ciò che i personaggi rappresentano nella scena, ne assorbe e riflette tutte le loro caratteristiche. ‘Sordida impannata’: l’intelaiatura della finestra è aggettivata da un termine che si accorda alla ‘turpe tavola’, è infatti sporca, moralmente avara, esattamente come i giocatorelli. L’aria è ‘greve’, pesante, il viso ‘scocca’, la canizie ‘spiuma’, le sensazioni si attardano così sull’ambiente e sui gesti e visualizzano l’atmosfera satura in cui si manifesta, per contrasto, il ‘risveglio’ di Matteo.
Le argomentazioni sopra esposte, nel loro complesso, conducono a una riflessione accurata sul fondamentale apporto comunicativo, introspettivo e conoscitivo, che le arti visive possono offrire anche e proprio alle persone disabili della vista, se esperite mediante il supporto della descrizione e della percezione sensibile della forma. Per potenziare la natura visiva del linguaggio verbale, all’interno del Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros, dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza, sono esposte traduzioni tridimensionali di celebri dipinti e descrizioni storico-artistiche che hanno il compito di dare corpo e forma comunicabile all’immaginazione del fruitore, altrimenti non condivisibile, tra vedenti e non vedenti. I capolavori della pittura, tradotti in bassorilievo prospettico e narrati in linguaggio descrittivo ed evocativo, sono selezionati secondo criteri di notorietà e significatività cognitiva ed espressiva. Ogni dipinto, introdotto storicamente e poi descritto attraverso la ricostruzione della sua genesi, iconografia e iconologia, significato e aderenza rispetto al contesto culturale d’appartenenza, viene illustrato insieme alla poetica e alla biografia dell’autore. L’utilità dell’uso del supporto plastico, adottato nella didattica museale unitamente alla descrizione verbale, dimora nella narrazione e nel concreto riconoscimento dei valori estetici di un’opera d’arte, reificata nella mente, a ‘occhi chiusi’. La funzione evocativa e colmativa della parola, in sostituzione della percezione ottica e tattile, è una possibilità di conoscenza intellettuale e immaginativa che non deve però sottrarre al piacere e al valore cognitivo della percezione sensoriale: piuttosto, può evidenziare l’importanza del rapporto tra immagine e contenuto, forma e sostanza di un’opera d’arte intesa come riflesso dello spirito di un’epoca e di una cultura. Il processo immaginativo attraverso il quale ricostruiamo un dipinto, nella sua natura iconica, prevede che in ogni caso si faccia spazio, nella mente e nel sentimento, alla connessione dei saperi, alla relazione tra memoria sensoriale e rappresentazione mentale delle forme. L’esperienza estetica è data dall’incontro di emozione e ragione, da cui deriva una conquista intellettuale che nasce dalla disposizione del nostro animo nel momento in cui apprendiamo un contenuto e lo reinterpretiamo. E’ questa, anche e non solo, la forza dell’immaginazione, che non è mai sterile congettura o fantasticheria autoreferenziale: al contrario, si nutre del contatto e della ricerca di comuni denominatori tra pensiero collettivo e individuale, supportata dall’esperienza. Essa annulla, dunque, ogni separazione tra soggetto e oggetto, e porta entrambi all’unicità della comprensione, vera opera, poiché tra pensiero e arte, tra spirito e materia, vi è un’autentica vicinanza. La convergenza delle forze prodotte dall’immaginazione avvalora la traduzione della rappresentazione visiva in racconto, e decreta la simbiosi tra visione intellettiva e percezione sensibile: ma è anche necessario acquisire una competenza metodologica atta a valutare l’utilità della teoria dell’arte e degli strumenti critici necessari per maturare l’autonomia di giudizio. La descrizione puntuale, ancorché tecnica, è narrazione della poetica di un artista, del sentimento delle forme dotate di valore estetico e per questo, nel raccontare le opere d’arte, è opportuno associare la storia al pensiero di un’epoca, attualizzandone il contenuto. In un affresco a soggetto cristologico di Giotto o nella narrazione delle mitografie neoplatoniche, per effetto del raccordo tra arte, letteratura, storia e filosofia, possiamo rintracciare le forme dell’essere, quindi le categorie attraverso le quali definiamo gioie, dolori, bellezza, bruttezza, tempeste dell’animo e quiete, sentimenti che le opere d’arte accolgono e che spesso i soggetti mitologici ci descrivono con grande sensibilità. Così, attraverso la conoscenza di alcune iconografie, possiamo scorgere qualcosa che ci appartiene nel dolore composto di una madre al cospetto della morte del figlio, nella delicatezza o severità di un ritratto, nella poesia di un paesaggio, nella bellezza incantevole di una dea o nella verità che si cela in un mito. Concentrarsi sulla forza evocativa e colmativa della parola non significa eludere il valore insostituibile della percezione sensibile del visivo, piuttosto riconoscere la funzione vicariante e complementare dei sensi.
L’esperienza d’ascolto nella corrispondenza della parola con il visivo, insegna soprattutto la comprensione di ciò che, restando comunque invisibile, trova la migliore rappresentazione nell’uso della metafora, rispettando il codice di rappresentazione condiviso. 20

Funzione dell’esperienza estetica nell’educazione permanente degli adulti normododati e disabili della vista

L’apprendimento permanente è una risorsa alla quale ogni persona può attingere, anche attraverso l’educazione estetica. L’acquisizione di una abilità, infatti, svela potenzialità individuali e collettive che dimostrano come un approccio conoscitivo a ogni arte e disciplina conduca all’interiorizzazione di competenze psico-percettive, sensoriali e intellettuali.
La creazione artistica è incontro tra plenum e forma: quindi tra percezione indiscriminata e capacità di organizzazione dei dati sensibili. Per questo la natura conoscitiva dell’atto interpretativo è centrale in una storia dell’arte intesa come scienza e come storia delle idee, ma è ancora più essenziale se l’obiettivo di una didattica speciale delle arti è l’integrazione tra persone di età e formazioni culturali differenti, sia in presenza che in assenza di deficit sensoriali. Nel caso della disabilità visiva, ad esempio, la relazione tra percepire tattilmente e vedere mentalmente costituisce oggetto di indagine nell’esame dei processi di apprendimento e significazione delle immagini dotate di valore estetico. Il rapporto esperienziale e teoretico dell’uomo con la realtà e la sua rappresentazione trasfigurata è anche per questo, da sempre, oggetto di studio dell’estetica, della psicologia dell’arte e della percezione, perché la sensibilità agisce nell’arte e riverbera concretamente nella vita.
La definizione di esperienza estetica richiede la considerazione dei comportamenti conoscitivi e valutativi dell’individuo, tenendo presenti la sua provenienza, formazione, cultura, età, condizione. Ogni approccio con la rappresentazione dotata di valore estetico presuppone, pertanto, un inquadramento delle condizioni percettive e cognitive del soggetto e un esame della sua cultura. L’esperienza estetica ha quindi molteplici funzioni poiché apporta trasformazioni intellettuali sia nelle persone normovedenti che nelle persone disabili della vista. La stessa evoluzione culturale, fisiologica e psichica che un percorso didattico genera in persone adulte di diverse età, determina e conferma tanto la mutevolezza dell’approccio con l’opera d’arte, letta come summa e riflesso dell’umano, quanto la ricchezza di impulsi e abilità che questa apertura determina. L’arbitrarietà del giudizio di valore e le differenze di maturazione di percezioni, sentimenti della forma, interiorizzazione di contenuti, accettazione ed elaborazione di valori estetici e storici, fanno sì che proprio tali elementi costituiscano i fondamenti dell’esperienza estetica, di riflesso determinandone qualità, sviluppo e funzione.
Questa consapevolezza è costantemente avallata, nell’insegnamento della storia dell’arte come storia dell’immagine e delle idee in essa custodite, dalla pratica didattica e dalla pragmatica conoscitiva attuata dai discenti. In particolar modo il fenomeno della differenziazione e condivisibilità dei comportamenti percettivi e dei codici di significazione delle forme e delle immagini risulta importante nell’esperienza estetica dei bambini e degli adulti, in quelle stagioni della vita che scandiscono il passaggio dall’infanzia alla giovinezza, ma anche dalla maturità all’anzianità. L’approccio al valore informativo, espressivo, psichico e poetico dell’immagine, cambia considerevolmente nel corso della vita e svela interessanti meccanismi di autonoma appropriazione delle conoscenze culturali e loro conversione in intuizioni esistenziali, talvolta grazie a consapevolezze che maturano mediante processi logici, intuitivi e analogici. Non impropriamente si dovrebbe parlare di una fenomenologia dell’apprendimento, quindi di modi della comprensione ricorrenti, che nella percezione sensoriale e nell’elaborazione intellettuale di forme e contenuti si offrono come parti integranti di un pensiero creativo, per molti aspetti rigenerativo. 21
Riconoscere valore al contributo che la percezione tattile porta alla conoscenza delle arti visive, e dei valori di forma e contenuto che in esse dimorano, significa anche avere valutato i concetti di tattilità dell’occhio e otticità del tatto, affinché né solo alla vista, né solo alla tatto siano delegati compiti che sono invece la risultante dei due sensi integrati. Tuttavia, in presenza di disabilità visiva, il senso della vista risulta vicariato, a pieno diritto, dal senso del tatto e sostenuto dal ruolo fondamentale dell’udito, quindi dell’ascolto di un racconto che riorganizzi e crei sequenze di contenuti. Intraprendere un percorso conoscitivo articolato che porta alla comprensione dei concetti di relazione tra elementi, temporalità, spazialità, parzialità e compiutezza della visione, attraverso una matura percezione tattile, significa considerare la natura intuitivamente plastica e sinottica della rappresentazione pittorica, per farla propria attraverso un processo di scomposizione e ricostruzione mentale dell’immagine.
La psicologia e la pedagogia speciale delle arti hanno riconosciuto che il mondo dei ciechi non è sostanzialmente distante da quello dei vedenti, anche nella conoscenza dei concetti spaziali. La differenza riguarda piuttosto il modo in cui non vedenti e vedenti elaborano e controllano direttrici e condotte spaziali. Non dobbiamo dimenticare che alcune azioni tattili predispongono maggiormente alla percezione della fisicità della forma (intesa come corpo solido dotato di peso specifico) ed altri movimenti sono più indicati alla visualizzazione della sua architettura geometrico-morfologica (strutturale e sostanziale). Sia la percezione visiva che quella tattile possono essere definite sequenziali, anche se la durata del procedimento esplorativo esercitato con gli occhi è infinitamente più veloce di quello svolto mediante la tattilità. Vi è un tempo della lettura ottica e tattile che possiamo definire tempo della costruzione dell’immagine in cui percezione delle forme, riconoscimento degli elementi, significazione della composizione, concorrono a determinare il complesso fenomeno della visione.
Si può comprendere pertanto l’importanza di una educazione alla tattilità vicariante la vista che, oltre a rafforzare i processi cognitivi nei non vedenti, permetta anche ai normovedenti di riabilitare una sensorialità troppo spesso inibita. Come nella persona disabile della vista l’educazione al buon uso dei sensi residui è un percorso formativo che riverbera nella sfera emozionale e intellettuale, così nella persona adulta normovedente un corretto sviluppo della sensorialità rafforza la coscienza delle proprie abilità percettive e cognitive e insegna a vedere con più profondità e ordine fuori e dentro se stessi.
E’ inoltre opportuno riflettere sull’esistenza di forme di cecità psicologica che possono interessare indistintamente persone molto diverse tra loro, soprattutto in età adulta, qualora a un sistema collaudato di comportamenti visivi ne subentrino di inconsueti. Tutto ciò che si offre come dato nuovo può risultare estraneo al proprio mondo e quindi soggetto a implicito rifiuto. Ma la capacità visiva è sia riconoscimento del noto, sia confronto con la difformità e per questo prevede conflitti emotivi superabili solo mediante una volontà conoscitiva vitale e dialettica.
Il sistema neurofisiologico con il quale apprendiamo le forme del mondo, mediante esperienza diretta con la realtà e attraverso la percezione sensoriale dei linguaggi della rappresentazione, fin dall’età infantile agisce costantemente, ma è l’educazione sensoriale a determinare la qualità dell’uso emozionale e cognitivo dei cinque sensi. Nei bambini ciechi precoci tale elaborazione sensoriale e cognitivo-emozionale avviene più lentamente, a prezzo di maggiori difficoltà e necessarie stratificazioni, e spesso si tratta di una conquista non lineare perché maturata attraverso esperienze differenti, sia pur assimilabili e tra loro integrabili. 22
Nell’esperienza aptica esercitata a scopi cognitivi e interpretativi, le tecniche di esplorazione tattile delle opere d’arte presentano numerose variabili e coinvolgono azioni apparentemente impercettibili ma in realtà decisive per il processo di ricostruzione mentale dell’immagine.
Nella lettura di un’opera d’arte pittorica, la relazione con l’originale, la visione della riproduzione fotografica o la percezione della traduzione plastica, sono condizioni che modificano nettamente la risposta emotiva ma non sempre quella cognitiva. E’ doveroso portare l’osservatore-lettore alla consapevolezza che sussiste una differenza considerevole (non un ostacolo alla conoscenza) tra rapporto diretto o indiretto (mediato) con l’opera d’arte, e ciò in relazione al fatto che si esamini un’opera d’arte originale, oppure la sua riproduzione fotografica e/o plastica. Ciò deve essere considerato come dato rilevante ma non può costituire una discriminate nell’esperienza dell’apprendimento didattico-pedagogico. Talvolta, comportamenti valutativi indotti rischiano di andare a detrimento di una cosciente concezione dell’esperienza estetica, e quindi delle ‘visioni’ possibili di un’opera d’arte. Nel caso specifico della percezione di un’immagine artistica tradotta in bassorilievo prospettico, tattilmente percepibile, lo scarto tra vedere l’originale e la sua riproduzione è maggiore di quanto non sia lo scarto tra vedere l’originale e la sua riproduzione fotografica. Dinanzi a qualsiasi rappresentazione dotata di valore estetico, è importante percepire fisicamente la natura materiale dell’immagine (quindi poter soppesare, avvertire la qualità delle sostanze o la temperatura del materiale) e risulta fondamentale includere, per poi trascendere, la componente materiale e tecnica. Solo in questo modo, percezione e significazione dell’opera risultano summa conoscitiva orientata a una sensibile trasfigurazione semantica dell’immagine. Evocare in noi stessi la memoria delle caratteristiche morfologiche, spaziali, fisiche ed espressive delle forme e delle sostanze ivi incluse, soprattutto se la natura dell’immagine artistica, in originale o in copia o in traduzione, presenta referenti riconducibili alla nostra esperienza, significa percepirne, come precedentemente evidenziato, sinestesicamente, le qualità estetiche. Le tecniche di esplorazione tattile hanno pertanto una componente ‘fisica’ che prevede azioni utili alla conoscenza delle strutture compositive di un’immagine tridimensionale, ma non per questo escludono l’apertura ad un’esperienza estetica più completa e polivalente. Con questi presupposti, diventa utile sottolineare come una corretta educazione all’immagine per non vedenti e ipovedenti presenti i requisiti della costruzione mentale e graduale delle tecniche di percezione dello spazio, del tempo testimoniato dallo spostamento dei corpi all’interno di una composizione, della natura spazio-temporale della scena, spesso suggerita dalla progressione imposta dalla narrazione nel descrivere e far rivivere le dinamiche di relazione e interazione tra soggetti.
Tra tempo interno al quadro (tempo della narrazione della scena) e tempo della lettura, sia ottica che tattile, esiste il comune denominatore della sequenzialità e della stratificazione organizzata di concetti e informazioni ricevute dalla percezione aptica della forma e dalla descrizione verbale dei suoi contenuti. La guida alla lettura della composizione pittorica trasposta in rilievo plastico impone molta attenzione alla corrispondenza tra percezione e cognizione, tra informazione ricevuta ed elaborazione personale dei dati, e per questo si avvale del modello tripartito di lettura e interpretazione di memoria panofskiana. A partire da questo modello, le letture preiconografica e iconografica e l’interpretazione iconologica, per strutturazione e loro correlazione, altro non sono che fasi corrispondenti alla progressione conoscitiva grazie alla quale passiamo dalla percezione delle forme e dal riconoscimento dei soggetti primari, all’individuazione del loro significato associato a un tema, fino ad approdare all’estensione di senso dell’iconografia, letta e interiorizzata oltre il suo significato storico-culturale circoscritto. 23 In tal modo con l’interpretazione iconologica si coglie il significato intrinseco e più profondo di un soggetto tematico, elevandolo a emblema e metafora di ‘altro’. La lettura di un’opera d’arte, così concepita, può divenire un’esperienza educativa e conoscitiva che orienta alla profondità della visione, indipendentemente dalla modalità percettiva con la quale si procede nell’incontro con l’opera, e a prescindere dalla presenza o assenza di deficit visivo.

Loretta Secchi
Curatrice del Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros Istituto dei ciechi Francesco Cavazza di Bologna

Note
1 Per approfondimenti su crescita e sviluppo in presenza di deficit visivo, consultare il testo di M. L. GARGIULO e V. DADONE, Crescere toccando. Aiutare il bambino con deficit visivo attraverso il gioco sonoro. Uno strumento per educatori e terapisti, Milano, Franco Angeli editore, 2009, pp. 21-25.
2 Per un approfondimento sulla funzione conoscitiva dei libri tattili come fonte di immagini a scopi educativi, consultare: R. CALDIN, J. LANNERS, E. POLATO Progetto ‘Per immaginare, la mente ha bisogno di immagini’, in «L’integrazione scolastica e sociale», ed. Erickson, n. 8/1 Febbraio 2009. pp. 40-57.
3 Nel sito internet dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza: www.cavazza.it/museoanteros, sono presenti testi illustrativi, riferimenti scientifici, e alcuni modelli di schede storico-artistiche descrittive delle opere esposte, corredate di immagini, ad uso delle persone ipovedenti; è inoltre consultabile la rassegna stampa inerente la vita e l’attività del Museo e relativa bibliografia scientifica.
4 R. ARNHEIM, Per la salvezza dell’arte. Ventisei saggi, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 166-167.
5 Il discorso di Arnheim impone un’attenta riflessione sulla coscienza del vedere e sulla coscienza conoscitiva in sé. Abbandonato il pregiudizio per il quale la tattilità non può permettere l’accesso alla visione di insieme, possiamo oggi affermare, sia pur con le dovute cautele e discriminanti, che ogni percezione (tattile e ottica) di ‘insiemi strutturati’ deve fondarsi su un accurato esame dei procedimenti attraverso i quali prendiamo coscienza dei nostri strumenti e modi conoscitivi linguistici, visivi e verbali. Cfr. L.SECCHI, L’educazione estetica per l’integrazione, Roma, Carocci Faber, 2004, p.34.
6 La persona vedente, infatti, può percepire un soggetto stagliato su uno sfondo come un tutto integrato, mentre tale prerogativa non è concessa a una persona cieca. Il non vedente può però acquisire, sia pur con uno scarto temporale maggiore, il contesto, quindi la medesima relazione tra soggetti, attraverso un’appropriata ricostruzione strutturale dei dati che costituiscono la relazione tra soggetto e sfondo e gradualmente pervenire alla visione di insieme. Cfr. Ivi, p. 35.
7 Cfr. P. GUALANDI, Appendice 1. Codificazione delle immagini bidimensionali in rilievi a lettura tattile per non vedenti, tratta da P.GUALANDI, L.SECCHI, Tecniche di rappresentazione plastica della realtà visiva, in Toccare l’arte. L’educazione estetica di ipovedenti e non vedenti, a cura di A. Bellini, Roma, Armando, 2000.
8 L’equipe del Museo tattile di pittura antica e moderna Anteros dell’Istituto dei Ciechi Francesco Cavazza di Bologna si occupa di studio integrato di valori ottici e tattili ed è costituita da Loretta Secchi coordinatrice, e dai collaboratori Paolo Gualandi, Marco Marchesini, Giorgio Giorgioni, Maria Rapagnetta, Giampaolo Rocca e Alessandro Mancinone.
9 Sul metodo tripartito di Erwin Panofsky, anche frutto dell’interpretazione degli studi condotti da Aby Warburg, sistematizzati negli anni Trenta del secolo scorso da Erwin Panofsky e centrati sulla percezione, acquisizione e interpretazione delle opere d’arte, si veda il saggio Iconografia e Iconologia. Introduzione allo studio dell’arte del Rinascimento, in Il Significato nelle arti visive, Torino, Einaudi, 1962, pp. 29-57.
10 Per una comprensione delle radici cognitiviste nella strutturazione dei processi di appropriazione e significazione delle forme, si veda T. LANCIONI, Il senso e la forma. Il linguaggio delle immagini fra teoria dell’arte e semiotica, Bologna, Esculapio, 2001, p. 221.
11 Cfr. L. SECCHI, L’educazione estetica per l’integrazione, Roma, Carocci Faber, 2004, p. 30.
12 Cfr. D.ANGELI, G.ROCCA, Dall’esplorazione tattile alla restituzione plastica dell’immagine. Costruzione di un percorso, in L’arte a portata di mano, Verso una pedagogia di accesso ai Beni Culturali senza barriere, a cura del Museo Tattile Statale Omero di Ancona, Roma, Armando editore, 2006, pp. 247-255.
13 Cfr. B. MAGEE, M. MILLIGAN, Sulla Cecità, Roma, Astrolabio, Roma, 1997, lettera di Magee a Milligan, p.31.
14 Per un approfondimento del concetto di ekphrasis si veda il saggio di U. ECO, Dire quasi la stessa cosa, Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, 2003, pp. 197, 208.
15 Per una conoscenza della funzione del linguaggio nei non vedenti si consulti, M. MAZZEO, Il cieco e i colori: verbalismo ed esonero, in Storia naturale della sinestesia. Dalla questione di Molyneux a Jakobson, Macerata, Quodlibet, 2005, pp.269-274.
16 Per un approfondimento dell’esperienza affettiva fondata sulla sensibilità, si faccia riferimento a R. DE MONTICELLI, Estensione e profondità del sentire, in L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire,
Milano, Garzanti, 2003, pp. 69-87.
17 A. ERRANI, Esperienza visiva: esperienza tattile e apprendimento, in L’arte a portata di mano, verso una pedagogia di accesso ai beni culturali senza barriere, Roma, Armando Editore, 2006, p.105.
18 D. DIDEROT, Lettera sui ciechi per quelli che ci vedono, 1749, tr. it. Firenze: La Nuova Italia, 1999, p. 41.
19 R. LONGHI, Caravaggio, 1952, in Da Cimabue a Morandi, Milano, Arnoldo Mondatori, 1972, p. 837.
20 L. SECCHI, Raccontare l’arte, La funzione evocativa e colmativa della parola, in «Vedere Oltre», Periodico di informazione dell’Istituto dei Ciechi di Bologna Francesco Cavazza, Anno quattordicesimo, n. 2, Dicembre 2007.

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